Bronte. La strage del 9 agosto 1860

Bronte. La strage del 9 agosto 1860

La strage di Bronte

A Bixio, autentico criminale di guerra,
si sono intitolate vie e piazze in Sicilia

di Alfonso Cerrati
[ Pubblicato su L’Ora Siciliana – Maggio 2015 ]
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La strage di Bronte. Quello che stiamo per raccontare vi lascerà tanto veleno in corpo perché è una delle più infami storie di cui l’impresa sabaudo garibaldesca si sia potuta macchiare. Come si sa, l’epopea risorgimentale si è fregiata di alcuni primati negativi che nessuna rivoluzione al mondo può ascrivere a suo onore.

Per citare alcuni casi emblematici, ricordo quello di Angelina Romano di anni 9, fucilata la mattina del 3 gennaio1862 a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani. La colpa contestata ad Angelina fu quella di essere parente di un giovane che si era reso irreperibile dopo aver partecipato a una rivolta. Angelina è stata l’unica bambina al mondo che sia mai stata processata e fucilata. Il nazismo non è arrivato a tanto! E la storiografia ufficiale ha sempre tenuto nascosto il fattaccio criminale.

Un altro caso emblematico fu l’arresto e il processo, sempre in Sicilia, a carico del vescovo ultranovantenne di Monreale mons. Benedetto D’Acquisto, malato e semi paralizzato. Il presule, arrestato come terrorista a seguito dell’insurrezione di Palermo del 1866 (detta anche del “Sette e Mezzo”), comparve con i ceppi di ferro ai polsi davanti ai giudici palermitani come il “pericoloso brigante D’Acquisto” e pertanto meritevole di attenta sorveglianza armata. Si risparmiò la fucilazione del prelato perché morì prima della sentenza.

Neanche lo stalinismo comunista è mai arrivato a tanto con i rappresentanti della chiesa cattolica! Anche in questo caso la storiografia ufficiale ha sempre taciuto. Non ci risulta che qualsiasi regime retrogrado, magari del Sud America, abbia mai processato e fucilato un demente, uno scemo nato, l’idiota riconosciuto del paese. Ebbene questo particolare primato è sempre detenuto dagli invasori savoiardi con i fatti che ci accingiamo a narrare.


L’inizio dell’occupazione e i tumulti del 1860

Le rivolte, che in molti comuni siciliani esplosero nell’estate del 1860 a seguito dello sbarco di Garibaldi a Marsala, nascevano dalla consapevolezza che parte dei ceti umili e contadini stava per realizzare il progetto ultrasecolare dell’occupazione delle terre demaniali e della Chiesa come promesso dal cosiddetto “Eroe dei Due Mondi”. Fu un’illusione perché Garibaldi non poteva e non voleva soddisfare le esigenze dei proletari Siciliani. L’eliminazione del Regno delle Due Sicilie non doveva comportare sconvolgimenti negli equilibri economici e sociali dell’Europa.

A ciò si aggiunga che la popolazione non poteva più godere dei privilegi concessi dal governo duosiciliano che consentiva, specie alla povera gente, di accedere ai fondi demaniali per coltivare, legnare, pascolare e trarne tutti i benefici possibili, al fine di vivere dignitosamente.

Bronte, centro alle pendici dell’Etna, era un ducato donato in forma perpetua all’ammiraglio inglese Orazio Nelson e ai suoi discendenti da Ferdinando IV nel 1799 per riconoscenza dell’aiuto ricevuto contro i giacobini francesi. Proprio a Bronte, durante il mese di luglio e nei primi di agosto del 1860, si verificarono dimostrazioni pubbliche perché nel brontese fosse rispettata la legge sulle confische dei terreni demaniali promulgata dal “liberatore”. Il consolato inglese, che riteneva minacciati i beni del Nelson, si rivolse insistentemente al dittatore. Garibaldi, da Messina, scrisse al governatore di Catania ordinandogli d’inviare a Bronte una forza militare per sopprimere i disordini.

L’invio di truppe locali al comando del colonnello Giuseppe Paulet riportò a Bronte una certa calma, ma non accontentò il console inglese e i proprietari terrieri del paese. Perciò Garibaldi, sollecitato da numerosi telegrammi, fu costretto a inviare il suo braccio destro, Nino Bixio, posto a capo di un contingente di truppe della masnada garibaldesca.

Tradita la fiducia nei confronti di Garibaldi

Il Bixio, che sino ad allora era solo conosciuto come trafficante di schiavi dall’Africa, giunse a Bronte con la sua truppaglia nella tarda serata del 5 agosto 1860 e occupò militarmente il paese mettendolo in stato di assedio. All’alba del 6 agosto seguente diede il via alla carneficina. La gente che aveva sperato tanto in Garibaldi dovette subire una spietata repressione e proprio dai garibaldeschi fu massacrata.

Dalle prime luci di una mattina afosa d’estate, e così per tre giorni di seguito, l’aspirazione di tante persone trafitte dalle baionette e dai colpi di fucileria di quei mercenari senza scrupoli annegò in un bagno di sangue. Quanti furono i morti? A nessuno venne in mente di contarli, tanto meno conveniva ai garibaldeschi, autori dell’eccidio. Bixio ebbe anche il tempo d’imporre una tassa di guerra di 10 onze l’ora fino alla regolare riorganizzazione del paese.

Indi, per dare una parvenza di legalità alla sua azione criminale, istituì un “tribunale speciale di guerra” in nome del re di Sardegna, Vittorio Emanuele II di Savoia. Giorno 8 agosto 1860, per mettere all’opera quel “tribunale”, fece arrestare e comparire davanti a esso cinque poveri disgraziati presi a caso. Il giorno successivo, alle ore 16, a carico delle persone arrestate si celebrò un processo farsa che durò quattro ore in tutto.

Gli imputati furono: l’avv. Nicolò Lombardo, che molto si era prodigato durante la sommossa per placare gli animi, Nunzio Samperi, detto Spiridione, Nunzio Longhitano, detto Longi, Nuccio Spitaleri e infine il “capolavoro” di Bixio, l’imputato eccellente Nunzio Ciraldo, detto Frajunco, lo scemo del paese. Frajunco era chiamato così da fra’ (frate) per il suo carattere mistico e bigotto e dalla parola junco (giunco, pianta che nasce presso i corsi d’acqua e nota per la sua mollezza) perché soggetto debole e psicolabile.

Strage Bixio a Bronte
Nessuna pietà per i condannati di Bronte. Bixio, la belva!

Alle ore 20 fu emessa la sentenza, sempre in nome e per conto del re savoiardo, tutti condannati alla pena di morte da eseguirsi con la fucilazione e con il “2° grado di pubblico esempio” da eseguirsi nel giorno stesso della sentenza. Ai condannati fu negato tutto, anche i conforti religiosi. Puntualmente la fucilazione fu eseguita nel Piano di San Vito a Bronte. Erano le ore 22 di martedì 9 agosto 1860.

Un terribile particolare: durante il processo, e dalla prigione al luogo della fucilazione, Frajunco, il povero idiota, fu il più sereno di tutti e ripeteva in cantilena «la Maronna m’avi a sarvari» (la Madonna mi deve salvare). Sorprendentemente, la scarica di fucileria non lo colpì. Egli allora gettatosi ai piedi di Bixio, gli gridò «la Maronna mi fici’ a grazia, mi la facissi puri vossia» (la Madonna mi ha fatto la grazia, mela faccia pure lei). Ma Bixio, infastidito, come risposta, ordinò seccamente a un tale “sergente” Niutti: «Ammazzate questa canaglia».

Il mattino seguente, il 10 agosto, come nulla fosse successo, l’ex boss della tratta dei negri lasciò Bronte con i suoi uomini e rientrò a Messina, trascinandosi con sé un centinaio di brontesi, fatti prigionieri, che poi furono giudicati e condannati dal “Consiglio di guerra di Messina”. Il Bixio, un autentico criminale di guerra, aveva “normalizzato” il centro etneo. Per riconoscenza, in seguito, le vie di mezz’Italia saranno intitolate al suo nome.

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2 thoughts on “Bronte. La strage del 9 agosto 1860

  1. Il feudalesimo in Sicilia veniva sia tenuto sotto controllo sia combattuto in quanto sostegno per la mafia del baronaggio attraverso il ferreo intervento dei Borbone e dei funzionari duosiciliani onesti, come il commissario Salvatore Maniscalco (pioniere dell’antimafia siciliana) e dei due procuratori del Re Pietro Cala Ulloà (il quale denunciò l’esistenza della mafia come setta) e Giuseppe Mario Arpino. La lotta alla criminalità agraria baronale veniva affrontata persino attraverso l’applicazione dei due decreti regi del 1838 e del 1841, sancendo l’intervento oneroso dei procuratori al fianco dei comuni minacciati dalle prepotenze agrarie dei baroni. Tutto questo non è stato detto e, quindi, la storiografia coloniale unitaria ha il coraggio di paragonare i Borbone alla mafia!

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