Vespro. La rivolta del 31 marzo 1282
La rivoluzione del Vespro del 31 marzo 1282
di Corrado Mirto ©
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Ricorre il 31 marzo l’anniversario dell’insurrezione popolare del Vespro. Anche questo avvenimento deve fare i conti con la campagna di annientamento dell’identità siciliana. La sistematica opera, in atto dal 1860, volta a distruggere l’identità siciliana e a fare scomparire i Siciliani dalla storia, si è svolta su due direttrici: cancellare nella storia di Sicilia quello che si poteva cancellare, alterare quello che non si poteva cancellare.
L’insurrezione del Vespro, universalmente conosciuta in Europa, non poteva essere cancellata. Quindi, si doveva alterare. Allora, la parola d’ordine è stata quella che l’insurrezione del Vespro non è la conseguenza di una iniziativa dei Siciliani ma è la conseguenza di una iniziativa di altri (Regno d’Aragona, Impero bizantino), i quali si sono serviti dei Siciliani per i loro scopi.
Cominciamo, ora, a occuparci degli avvenimenti. Carlo I d’Angiò, divenuto re di Sicilia dopo la battaglia di Benevento del 1266, instaurò nel Regno un governo vessatorio e oppressivo. I Siciliani sopportarono per sedici anni. Poi, il 31 marzo del 1282, mentre Carlo I preparava una crociata, che stranamente avrebbe avuto come primo obiettivo uno Stato cristiano, l’Impero bizantino, (in Sicilia si disse che Carlo non aveva preso la croce di Cristo ma la croce del ladrone), la rivolta scoppiò a Palermo davanti alla chiesa di Santo Spirito e si estese subito a tutta la città, travolgendo in breve le strutture politiche e militari angioine.
Alla notizia dei fatti di Palermo, l’insurrezione dilagò per tutta l’Isola. Il 5 aprile essa aveva già raggiunto l’estremità sud-orientale della Sicilia e le bandiere della libera Sicilia sventolavano a Modica, Ragusa e Scicli. Il 28 aprile insorse anche Messina dove la presenza di un forte presidio angioino aveva spinto alla prudenza. Fu creata una confederazione di città siciliane, la cosiddetta “Communitas Siciliae”, sotto la protezione della Chiesa. Ma il papa Martino IV sconfessò la rivoluzione e scomunicò i Siciliani ribelli, mentre Carlo I d’Angiò assalì con grandi forze Messina che resistette con disperato valore. Malgrado ogni sforzo e l’appoggio di mezza Europa, gli Angioini non tornarono più in Sicilia e i Siciliani mantennero la loro indipendenza.
Ma, per i programmi di alcuni “amici” della Sicilia, i Siciliani dovevano essere un popolo senza storia e a loro doveva essere tolta la paternità della resistenza allo straniero. E allora è stato posto il quesito: «L’insurrezione del Vespro fu un moto improvviso di popolo o il risultato di una trama organizzata da potenze straniere come il Regno d’Aragona e l’Impero Bizantino?».
Gli “amici” della Sicilia si sono schierati in massa a sostegno della tesi della trama internazionale. Era, infatti, possibile che un popolo geneticamente inferiore, mentalmente sottosviluppato come quello siciliano, fosse il protagonista di una iniziativa che aveva messo in crisi la potenza angioina? I Siciliani in quella vicenda avrebbero fatto soltanto quello che, per loro attitudine a delinquere, erano in grado di fare: avrebbero fornito la mano d’opera per effettuare i massacri dei Francesi. Noi non affronteremo il problema organicamente, ma ci limiteremo a una riflessione elementare.
Gli organizzatori di una trama che avesse avuto in programma la rivolta e il successivo intervento aragonese, anche se non dotati di una intelligenza brillante, per muoversi avrebbero atteso due cose: la partenza dell’esercito angioino per la Grecia contro l’Impero bizantino e la mobilitazione dell’esercito di Pietro III d’Aragona per la spedizione di soccorso in Sicilia. Invece, alla fine di marzo del 1282, l’esercito angioino era ancora in Italia e l’esercito aragonese di soccorso non esisteva.
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Una spedizione aragonese partirà, con forze modeste, solo a giugno e nemmeno sarà diretta in Sicilia ma nell’Africa nord occidentale. Per quanto riguarda il presunto ruolo giocato dall’oro bizantino nello scoppio dell’insurrezione, va precisato che si tratta di ipotesi non suffragata da nessun documento.
In realtà, alla fine del secolo XIII la ricchezza dell’Impero bizantino era soltanto un ricordo del passato. Gli emissari bizantini, poi, che sarebbero stati così attivi nell’intessere trame e nel distribuire oro, a rivolta iniziata si sarebbero dimenticati di dare l’attesa notizia all’imperatore bizantino, il quale alla fine del mese di aprile sicuramente ancora ignorava l’accaduto.
Infatti i Messinesi, dopo la loro adesione alla “Communitas Siciliae”, nella speranza di ricevere aiuti, inviarono a Costantinopoli un loro ambasciatore per comunicare all’imperatore Michele Paleologo la notizia dell’insurrezione della Sicilia e per chiedere soccorsi. L’imperatore bizantino, nell’ascoltare le parole dell’inviato, molto si rallegrò per la notizia particolarmente lieta e attesa ed esclamò: «Sia benedetto il nome del Signore!». Dell’invio di aiuti però non fece alcun cenno.
Del resto, lo stesso Carlo II d’Angiò in una sua lettera del 10 agosto 1298 non additava come causa della rivolta le trame di cospiratori stranieri ma, con molta franchezza e onestà, la sfrenata licenza degli ufficiali di suo padre. Con buona pace dei “nostri amici Piemontesi”, possiamo quindi affermare con certezza che l’insurrezione del Vespro fu fatta soltanto dai Siciliani.
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Una nota di Giuseppe Scianò
(Coordinatore Centro Studi “Andrea Finocchiaro Aprile”)
La “Rivoluzione del Vespro”, in realtà, era stata lungamente e accuratamente preparata, anche a livello internazionale, ma che la leggenda popolare ce la tramanda come se fosse esplosa improvvisamente e a seguito del comportamento insolente di un soldato angioino nei confronti di una sposa Siciliana.
Una leggenda, questa, che rispettiamo come “possibile” ma che non sarebbe peraltro “omnicomprensiva” e che comunque dimostra l’esistenza della consapevolezza di una propria specifica memoria storica, anche a livello popolare, di quella che è stata ed è appunto la “Nazione Siciliana”.
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La ribellione diede avvio a una serie di guerre, chiamate ” guerre del Vespro ” per il controllo della Sicilia , definitivamente conclusesi con il trattato di Avignone del 1372 .
Credo che il male più grande della Sicilia sia l’ignoranza. L’ignoranza di non conoscere la propria storia e le proprie origini. Ma tutto questo è voluto da chi comanda, per non alimentare lo spirito indipendentista dei siciliani. Perché a scuola si fa studiare la storia romana, e nessun cenno su quella della nostra terra? Tranne per dire che Garibaldi fu’ un eroe, nascondendo la verità.
Come fin’anche nelle Università ad indirizzo scientifico non viene fatto conoscere Nikola Tesla, allo stesso modo, nelle nostre scuole siciliane, non soltanto non viene fatta conoscere la storia della nostra Sicilia, ma sono anche pochi gli insegnanti che la conoscono.