Statuto Siciliano calpestato dai traditori
STATUTO SICILIANO DI AUTONOMIA
Nell’anniversario dell’autonomia siciliana del 15 maggio 1946 sono stati calpestati i diritti costituzionali del Popolo Siciliano.
di Giuseppe Scianò ©
Coordinatore Centro Studi “Andrea Finocchiaro Aprile”
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Statuto Siciliano. Il 15 maggio (e non il 12 o il 13 o il 14 maggio) del 1946 è l’anniversario del giorno in cui il re d’Italia, Umberto II di Savoia, firmò il Decreto Legislativo n. 455 con il quale si promulgava lo Statuto Speciale di Autonomia per la Regione Siciliana.
Lo scopo era quello di porre la parola fine alla guerriglia separatista e alle agitazioni di piazza con le quali il Popolo Siciliano reclamava a gran voce l’indipendenza della Sicilia.
Il Decreto Legislativo fu sottoscritto dai Componenti del Governo di allora: De Gasperi, Nenni, Cianca, Romita, Togliatti, Scoccimarro, Corbinobrosio, Decourten, Cevolotto, Molè, Cattani, Gullo, Lombardi, Scelba, Gronchi, Barbareschi, Bracci, Gasparotto. Palmiro Togliatti, come è noto, era il Ministro Guardasigilli e non pensiamo quindi che si sia trattato di una “svista” istituzionale collettiva come qualche anti-autonomista dell’ultima ora vorrebbe far credere.
Lo Statuto Siciliano, così come era stato concordato e come previsto dal Decreto Legislativo già citato, venne poi approvato con Legge Costituzionale dall’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1948 e diventò parte integrante della Costituzione Italiana senza perdere affatto la propria individualità e neppure una virgola come, peraltro, avrebbe sancito la successiva sentenza dell’alta Corte (decisione del 19 luglio e del 10 settembre 1948).
Da quel momento in poi non si contano più le violazioni del pactum, dello Statuto e della stessa Costituzione Italiana, compiuta dalle persone e dalle istituzioni che avrebbero dovuto invece assicurarne la totale, corretta, applicazione. Non si contano neppure i “tradimenti” da parte “regionale”. Eclatante e offensiva per la dignità del Popolo Siciliano è certamente la proposta di modifica dello Statuto, approvata con una “legge-voto” (trasmessa al Parlamento Italiano) con la quale vengono frantumate e ridicolizzate le stesse prerogative del Parlamento Siciliano.
Per il colmo del paradosso i deputati di Sala d’Ercole hanno prodotto un provvedimento di natura legislativa che, volutamente e ostentatamente, lascia fuori della porta le parole “Popolo Siciliano” e, ovviamente, anche i loro significati politici, morali e giuridici.
C’è anche da dire che lo Statuto Siciliano si può, nei modi e nei termini previsti dalla Costituzione, “modificare” (per renderne meglio applicabili le disposizioni) ma NON si può certamente “riformare”, stravolgendone ruolo e significati.
Nel contesto della legge-voto in questione, non ha alcun significato che dal massacro si siano salvati gli articoli relativi all’alta Corte per la Regione Siciliana. Se, infatti, in futuro dovesse essere approvato “l’obbrobrio costituzionale”, proposto dalla stessa ARS, (come pura espressione di partiti e di forze che non hanno voluto riconoscere la validità e l’integrità dello statuto o l’attualità della specialità dell’autonomia siciliana) non vi sarebbe più alcuna norma dello Statuto o prerogativa autonomista da salvare.
Tutta questa confusione legislativa che si vuole mettere in moto e anche i festeggiamenti inopportuni e ingiustificati per uno Statuto calpestato, lascerebbero intravedere qualche ragione in più della semplice mancanza di buon gusto o, peggio, della incomprensione o indifferenza totale nei confronti della Questione Siciliana. Ci sembra che vi sia, piuttosto, qualcosa di più grave.
E cioè la volontà di “amnistiare” il reato di violazione della Carta Costituzionale del Popolo Siciliano e quello dei principi della stessa Costituzione Italiana. Reati anche politici e morali, questi, che in uno Stato di Diritto non dovrebbero passare inosservati né impuniti. Soprattutto da parte di chi, da mani a sera, invoca la legalità.
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