Sicilia al bivio. Autonomia o indipendenza
Sicilia al bivio.
Autonomia o indipendenza.
La Sicilia, una cenerentola non trascurata ma messa al bando,
considerata dall’Italia quasi razza inferiore,
indegna di sedere al convitto della medesima famiglia!
di Angelo Severino ©
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Nell’estate del 1943, nei giorni a seguire lo sbarco degli Alleati nell’Isola, nel Popolo Siciliano si rianimò il sogno indipendentista di una Sicilia separata dall’Italia. Questa voglia di libertà, iniziata negli anni che vanno dal 1812 al 1848, fu in un certo senso indebolita nel 1860 con l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia.
Il processo a Raffaele Palizzolo.
Vero è che il desiderio di indipendenza si era attenuato, ma non si era del tutto spento. Ricordiamo i fatti del 1902 quando l’onorevole siciliano Raffaele Palizzolo venne accusato di essere mafioso e ritenuto mandante dell’uccisione del marchese Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo ed ex presidente del Banco di Sicilia. Processato dal tribunale di Bologna, il Palizzolo risultò essere colpevole e fu condannato a trent’anni di carcere.
La sentenza fu però interpretata come una vera condanna all’intera Sicilia, imposta dal Nord e a danno dei Siciliani. In difesa di Palizzolo fu costituito il “Comitato pro Sicilia” e fra i promotori vi fu anche l’illustre Giuseppe Pitrè.
Il “Giornale di Sicilia” del 7 luglio 1902 pubblicò un articolo in prima pagina a firma del Pitrè, il quale evidenziava come vi era in Italia il pregiudizio assodato che (allora come oggi) quando si parla della Sicilia non si può fare a meno di parlare di mafia e che mafia e Sicilia siano una stessa cosa. Per Pitrè era dunque venuto il momento di dire basta a una campagna di stampa che offendeva il buon nome dei Siciliani e la stessa immagine della Sicilia.
«Tutto questo è abnorme – scriveva Pitrè – e l’animo di ogni buon siciliano insorge sdegnato! La Sicilia è stata sempre la cenerentola delle fortunate sorelle del Continente, una cenerentola non pur trascurata ma messa al bando, quasi razza inferiore, indegna di sedere al convitto della medesima famiglia!».
In tutta la Sicilia ci furono tumulti e manifestazioni a favore dell’onorevole Palizzolo tanto che la Cassazione annullò la sentenza di Bologna. Nel 1904 si svolse un nuovo processo a Firenze dove l’imputato fu assolto definitivamente per insufficienza di prove.
L’arresto di Nunzio Nasi.
Un altro caso di forte protesta antigovernativa e sicilianista fu nel 1907 quando il Deputato trapanese Nunzio Nasi, ex ministro della Pubblica Istruzione, fu arrestato per falso in atto pubblico e peculato.
La notizia provocò in tutta la Sicilia dimostrazioni di contestazione che a Palermo culminarono nell’uccisione di uno studente da parte della polizia. Anche questa volta il Popolo Siciliano interpetrò le sentenze italiane come vere e proprie sopraffazioni nei confronti della Sicilia.
Ritornando all’estate del 1943, il 23 luglio il comitato provvisorio del MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia) chiese agli Alleati di indire in Sicilia un referendum per chiedere al Popolo Siciliano se era favorevole all’autodeterminazione dell’Isola.
Fallito questo tentativo, il MIS organizzò lotte armate affinché i Siciliani riacquistassero quell’indipendenza che nel 1849 gli era tolta con la forza dai Borbone, i quali già nel dicembre 1816 avevano soppresso l’antico Regno di Sicilia.
Per contrastare la minaccia separatista, i partiti cosiddetti “unitari” cominciarono a favorire l’alternativa autonomistica della Sicilia che, alla fine, fu realizzata nel maggio del 1946.
Lo Statuto Siciliano, purtroppo, per colpa di chi ha governato la Sicilia, è stato tradito e svuotato nelle sue parti essenziali come, ad esempio, la soppressione dell’Alta Corte per la Sicilia. Scrisse Salvatore Riggio Scaduto, già magistrato a Caltanissetta:
«Se l’Alta Corte avesse funzionato, tante leggi contro la Sicilia non sarebbero passate. L’Alta Corte era l’unico e valido baluardo di difesa dell’Autonomia Siciliana. Era il pilastro portante del nostro Statuto. Ed è per questo che fu demolita dai degni eredi dei conquistatori del 1860».
Oggi, nel momento in cui scriviamo (20 ottobre 2020) la Sicilia è al bivio. Ci chiediamo e vi chiediamo se è bene continuare ad avere un’autonomia ridotta al minimo (con il grave rischio di essere addirittura eliminata o modificata) o vogliamo veramente una Sicilia indipendente e autodeterminata.
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