San Calogero, il Santo più amato di Agrigento
San Calogero, il Santo più amato di Agrigento
Tratto dal libro “Agrigento. Le tradizioni popolari” (pag. 101-102)
di Francesco Modica ©
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Quella di San Calogero è la festa religiosa più popolare di Agrigento. Essa ha luogo la prima e la seconda domenica di luglio in ringraziamento della raccolta del grano.
Non si conosce molto della vita di questo Santo. Una lunghissima tradizione vuole che San Calogero (dal greco “bel vecchio”), vissuto attorno al V secoli, fosse un eremita basiliano e provenisse probabilmente dall’Africa o dal Medio Oriente. È raffigurato, infatti, col volto nero e con una barba bianca, con un bastone, un libro, una cassetta per le medicine e una cerva ai suoi piedi.
Il culto verso questo Santo taumaturgo (veneratissimo in Sicilia) si perde nella notte dei tempi. La cinquecentesca statua lignea di San Calogero, custodita nell’omonima artistica Chiesa, è ritenuta miracolosissima da parte di tutti gli Agrigentini. Il “festino” inizia ufficialmente il venerdì, quando la città viene sfarzosamente illuminata a festa.
Sino agli inizi degli anni Cinquanta, prima che venisse distrutta, esisteva la famosa Villa “Garibaldi” che, proprio in questo giorno, veniva completamente illuminata (“‘u vènniri a’ villa”) e vi si svolgevano concerti di musica in palco.
Nella serata del sabato, ha luogo una spettacolare e artistica “maschiata” (fuochi d’artificio). La domenica si snoda la caratteristica e colorita processione con le interminabili soste durante le quali grandi e bambini prendono quasi d’assalto la statua di San Calogero che viene baciata con sincera e sentita devozione.
Inoltre, molta gente è solita buttare addosso al Santo nero il pane a forma di pagnottelle, secondo un’antichissima e intramontabile tradizione popolare. Si vuole, infatti, che, a causa delle peste che in quel tempo imperversava ad Agrigento, il Santo eremita si prodigasse a raccogliere il pane da distribuire ai poveri, che gli veniva lanciato dalle finestre e dai balconi per evitare di essere contagiati.
E inoltre, sempre durante il lunghissimo percorso della processione, i “tammurinàra” diffondono a ritmi incalzante il caratteristico rullio dei loro tamburi, mentre due bande, a turno, suonano incessantemente delle marcette allegre ed orecchiabili.
Per tutta la durata dei festeggiamenti, ha luogo, in fine, una ricca fiera d’artigianato locale, accompagnata da manifestazioni canore e musicali. Ne “barràcchi” si vende di tutto, dai giocattoli agli articoli da regalo e soprattutto gli immancabili “nucìddri, càlia, simènza, cubbàita e zùccaru filàtu”. Allietano, come sempre, il tutto “‘i giostri” (luna park) e “‘u iocu focu” (i giochi pirotecnici).
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