Rivolta siciliana 1820. Quella non è la nostra coccarda!
Quella non è la coccarda siciliana!
E volge loro le spalle
di Angelo Severino ©
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Rivolta siciliana del 1820
Appena l’occupazione francese del Regno di Napoli ebbe a finire, il re Ferdinando III, che aveva pensato di trasferirsi da Palermo a Napoli, decise di sciogliere prima (il 14 maggio 1815) il Parlamento siciliano e poi, con decreto dell’8 dicembre 1816, di riunire in uno solo i regni di Napoli e di Sicilia. Per non deludere troppo i Siciliani, pensò di chiamarlo, a presa in giro, Regno delle Due Sicilie assumendo il titolo di Ferdinando Primo.
Era andato così a buon fine il progetto dei ministri napoletani che da tempo desideravano ridurre la Sicilia in subordinazione e governarla come ultima provincia di Napoli. Prima di lasciare l’Isola, ci fu chi, fra loro, ebbe a profetizzare che “ai Siciliani sarebbero rimasti appena gli occhi per piangere le loro sventure”.
La Sicilia, con l’annessione al Regno di Napoli del 1816, di fatto, perse la sua indipendenza e il malcontento fra i Siciliani fu tantissimo perché ormai da secoli erano abituati ad autogovernarsi. Cosa che non era più possibile fare. Ferdinando I superò se stesso e decise, oltre a inventarsi nuove tasse e la chiamata di leva, di proibire ai Siciliani di utilizzare la propria antica bandiera che, per tanti secoli, era vessillo di vittorie e di orgoglio.
La repressione dei napoletani
Il 15 giugno 1820 Palermo, già esclusa da molte attività economiche in quanto non più capitale del regno, insorse. Insorsero anche gli indipendentisti e nei giorni seguenti scoppiarono tafferugli fra i carbonari che appoggiavano l’unità con Napoli e i separatisti siciliani. Venne istituito un governo a Palermo presieduto dal principe di Paternò che ripristinò la Costituzione siciliana del 1812.
Il 7 novembre 1820 il re Ferdinando I, per porre fine alla rivolta siciliana, inviò nell’Isola un esercito comandato prima da Florestano Pepe e poi dal generale Pietro Colletta che, con la forza, riconquistò la Sicilia, ripristinò la monarchia e assoggettò nuovamente la Sicilia a Napoli.
Quella non è la coccarda siciliana!
Riguardo a quei giorni della rivolta siciliana, Francesco Crispi (che, pur essendo siciliano, partecipò personalmente con Giuseppe Garibaldi alla spedizione dei Mille e fu promotore dell’unità d’Italia), scrive nel suo libro “La Sicilia e la Rivoluzione”:
“Il 18 luglio 1820 il popolo siciliano (spinto dalla carboneria a fondersi in quella menzogna geografica ch’era il Regno delle Due Sicilie) si volge al principe di Castelnuovo perché voglia capitanarlo; il vecchio patrizio, al vedere il tricolore sul petto dei cittadini, grida: Quella non è la coccarda siciliana! E volge loro le spalle.”
Il principe di Castelnuovo si chiamava Carlo Cottone, era membro della Camera dei Pari del Regno di Sicilia e fu uno dei più ardenti promotori delle riforme politiche del 1812. Fu tra i baroni che nel 1811 avevano protestato contro Ferdinando III per aver questi firmato un decreto, riguardante l’imposta sulla rendita, senza essere discusso e approvato dal Parlamento. Il principe di Castelnuovo “Fu – come scrisse Crispi – sobrio, rigido, uomo di Stato all’inglese”.