Randazzo, una strage di Stato irrisolta
Fu strage di stato
A tutt’oggi ancora avvolto nel mistero
l’agguato di Randazzo del 17 giugno 1945
di Giuseppe Scianò ©
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Leggi: Randazzo. Martiri siciliani. Non vi dimenticheremo mai!
La mattina del 17 giugno 1945, sulla strada che da Cesarò porta a Randazzo e in prossimità del bivio per Bronte, in contrada “Murazzu ruttu”, un rumoroso e malandato motofurgone Guzzi 500 incappa in un posto di blocco, non casuale, dei Regi Carabinieri. Non è un motofurgone qualsiasi, che avrebbe comunque dato nell’occhio perché sono tempi tristissimi nei quali sono pochi gli automezzi in circolazione. Sono più comuni i quadrupedi e i carretti.
Questo motofurgone è particolare perché trasporta armi nel cassone e ha a bordo il fior fiore dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia). Probabilmente i carabinieri ne erano stati informati. Chi c’è, in pratica, sul furgone? In tutto sei persone.
Alla guida, isolato nella semicabina anteriore, c’è Giuseppe Amato Papaleo (nome di battaglia: Joe, anche se gli amici lo chiamano Pippo), vice comandante dell’EVIS, amico di vecchia data e principale collaboratore del comandante Mario Turri, con il quale ha condiviso la inquietante lunga esperienza di agente dell’Intelligence britannica. Pippo è un giovane molto efficiente e preparato, è di idee socialiste e appartiene a una prestigiosa famiglia borghese di Catania. Da poco ha compiuto ventuno anni, essendo nato il 9 giugno 1924.
All’interno del furgone ha preso posto il comandante Mario Turri. È questo, infatti, lo pseudonimo scelto dal prof. Antonio Canepa, nato a Palermo il 25 ottobre del 1908, docente dell’università di Catania, protagonista di diverse iniziative politiche e talvolta rivoluzionarie, quanto meno nelle intenzioni. Era stato attivo collaboratore, se non un agente, dei servizi segreti britannici in funzione antifascista e antitedesca.
Non sappiamo perché nel 1943, quando, con lo sbarco degli Alleati, già in Sicilia si sarebbe potuta giocare la carta dell’indipendenza, il prof. Canepa invece se ne sia andato in Continente a fare il partigiano italiano. Ma, in quel 17 giugno 1945, Canepa ha già da tempo lasciato alle spalle l’esperienza di partigiano vissuta, con lo pseudonimo di Tolù, fra gli Abruzzi e la Toscana.
E ha anche abbandonato la guida di un partito marxista-leninista fondato a Firenze, unitamente a una battagliera testata giornalistica. Non sappiano, né ci interessa sapere, quanto la sua attività fosse apprezzata dal Comitato toscano di liberazione nazionale. Siamo sicuri però che un certo “scrusciu” lo faceva.
Con l’accusa che il suo giornale veniva stampato senza autorizzazione, Canepa aveva dovuto subire un processo e una piccola, ma significativa, condanna. Segno, questo, che i compagni del PCI della Toscana non gli volevano più bene (ammesso che prima gliene possano aver voluto) né lo volevano più fra loro.
Nell’ottobre del 1944 Canepa era quindi ritornato in Sicilia, ben deciso a mettere a disposizione della lotta per l’indipendenza le proprie esperienze, l’immensa cultura, il coraggio e, soprattutto, la sua stessa vita. Probabilmente è quello il momento in cui Canepa è diventato separatista. Di certo è che egli è separatista.
Dopo un incontro con Andrea Finocchiaro Aprile, leader carismatico dell’Indipendentismo siciliano, ottiene il “silenzio-assenso” (o ne riceve una vera e propria autorizzazione) a costituire l’EVIS. Fino a quel momento in Sicilia erano esistite varie formazioni separatiste giovanili, soprattutto studentesche, paramilitari. Basate però prevalentemente sullo spontaneismo e sull’entusiasmo. Senza la preparazione, l’addestramento e quel senso dell’organizzazione quasi scientifica che Canepa voleva che l’EVIS avesse.
Il 17 giugno 1945 un altro passeggero del motofurgone è lo studente universitario (Facoltà Economia e Commercio) Carmelo Rosano, il quale proprio quel giorno compie ventidue anni (era nato il 17 giugno 1923). Rosano è senza dubbio uno dei migliori uomini dell’EVIS. Preparato, serio, militante convinto. Naturalmente distinto ed elegante nel portamento. Appartiene a un’ottima famiglia ed è il braccio destro del comandante Turri.
Altri due giovani studenti che si trovano sul motofurgone, entrambi nati nel 1924, sono Nino Velis e Armando Romano che, per percorsi e diverse vicende sopravviveranno all’eccidio di Randazzo unitamente a Pippo Amato. Infine, c’è il guerrigliero più giovane. Si chiama Giuseppe Lo Giudice, detto Pippo, studente ginnasiale, appena diciottenne. Era nato a San Michele di Ganzeria il 2 gennaio 1927.
Quanto fosse valido lo dimostra il fatto che i superiori lo avevano voluto con loro in una missione tanto delicata. Gli si legge in faccia che è un giovane di ideali purissimi e pieno di entusiasmo. Non è un personaggio secondario, qualche volta da ricordare e qualche volta no. Ben rappresenta tutti i ragazzi siciliani. Giuseppe Lo Giudice è, infatti, il simbolo dell’Indipendentismo Siciliano di ogni epoca: onesto, leale e generoso.
Ci siamo permessi di richiamare qualche dato biografico dei sei guerriglieri per evitare che con il tempo si dimenticasse anche ciò che è importante. Ma soprattutto per ricordare a noi stessi e agli storici e ai giornalisti e a coloro che sono soliti occuparsi del Separatismo Siciliano, come nessuno (dico nessuno) dei guerriglieri siciliani che il 17 giugno del 1945 si trovavano sul vecchio Guzzi 500 potesse essere accusato di essere delinquente comune o mafioso. In contrada “Murazzu Ruttu” morì crivellato di colpi, e per primo, Giuseppe Lo Giudice. Canepa e Rosano, gravemente feriti, moriranno invece a Randazzo.
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questa è storia e se ne dovrebbe parlare più spesso per informare i giovani e i meno giovani …tutti !
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