La Festa dei Morti. Gioiosa tradizione e tristi ricordi
La festa dei morti in Sicilia,
un mix di gioiosa tradizione e tristi ricordi
di Crocetta De Marco ©
La festa dei morti
La festa dei morti. Mentre in tutto il mondo impazza la festa di Hallowenn, in Sicilia resiste la tradizione della commemorazione dei morti, nei giorni a cavallo dei mesi di ottobre e novembre. Nonostante la notte delle streghe rappresenti un business da 370 milioni di euro, il giorno dedicato ai defunti è una festività che in Sicilia si tramanda da generazioni e che, ancora oggi, vede tantissima gente recarsi a trovare i propri cari scomparsi da tempo, ma rimasti nel cuore di chi resta.
Oltre al ricordo affettuoso e quel dovere sentito di incontrarsi sulla tomba di chi ci manca per condividergli il vuoto che ha lasciato, c’è anche una tradizione siciliana di particolare arte nella creazione di dolci, detti “dei morti”. Infatti, in ogni bar si vedono ancora i dolci tipici di questo periodo, come la frutta di marturana e i pupi di zùccaro, che oggi rischiano di essere sostituiti da zucche e maschere orrende, come la più materialista Hallowenn impone.
Nella “Favola della Festa dei Morti” così il siciliano Liborio Butera racconta di ciò che era, nel secolo appena scorso, la festa dei morti in Sicilia:
«I cari defunti, che nell’immaginario collettivo sono cupi e addolorati, la notte tra l’1 e il 2 novembre si trasformano, diventano sorridenti e, abbandonando per qualche ora le loro eterne dimore, distribuiscono giocattoli, dolci e vestiti ai bimbi. Niente a che vedere con i mostri voluti da Halloween, per fortuna, ma un ricongiungimento festoso con i parenti che non sono più di questa terra».
«E i bambini siciliani la notte tra l’1 e il 2 novembre vanno a letto e si sforzano nel tentativo di rimanere svegli con la speranza di vedere arrivare i cari defunti carichi di doni. La mattina appena alzati dal letto inizia la caccia ai doni: li trovano dietro le tende o nei posti più disparati, panieri traboccanti di “pupi di zùccaru”, “frutta martorana”, “ossa ‘i morti”, “n’zuddi” e “rame di Napoli” miste a tante altre leccornie più moderne».
«Assieme a loro, nuovi giocattoli sempre più tecnologici. È una festa! E poi di corsa a fare il giro dai parenti per vedere se anche lì i cari defunti hanno lasciato un dono, un paniere pieno di leccornie o giocattoli. Che bello vederli. Che bello vederli ricordare i parenti che non ci sono più».
Tutto ciò è quanto rimane nei miei ricordi nei giorni 1 e 2 novembre. Da bambini, io, mia sorella e mio fratello facevamo questo rituale, attesa della festività, arrivo di zie dal paese limitrofo per accompagnarsi a noi nella visita ai parenti defunti, movimento nelle case dove c’erano bambini, così anche da noi, tutti presi nella ricerca di giocattoli e dolciumi caratteristici, spari di finte pistole che arrivavano dalla strada, dove i maschietti, già dalle prime luci dell’alba, mostravano ciò che i “morti” avevano loro portato.
Il guaio è che io sono stata subito critica nei riguardi di questa tradizione, avvertivo già da piccola una sorta di pena per quei morti ricordati da noi per un fine che, poi, ho capito fosse utilitaristico, era già difficile pensare, anche con la mente di bambini, che resuscitassero e che, però, non potevamo vederli, non potevamo vedere quella nonna morta giovane, di cui mia mamma parlava tradendo sempre il suo grande dolore. Non amavo la parte festosa di questa commemorazione, non vi ritrovavo alcun rispetto verso il dolore di chi aveva perso persone care, ma anche perché m’incuteva una certa paura questo vagare di chi non c’era più per stanze e case.
Così, quando fu il momento dei miei bambini, preferii parlare di festa dei giocattoli, quelli che loro vedevano in giro per la città, per negozi e la vecchia Standa, dove tutti esponevano le ultime mode in fatto di giochi per maschietti e femminucce, e noi stessi regalavamo loro nuovi giochi, senza disturbare il sonno dei nostri morti, per i quali ci restava il dovere di andare a trovare in quella loro ultima dimora.
Poi, da quando la vita ci ha riservato di conoscere il dolore vero del distacco, sono stata sempre più convinta che i morti si ricordano, si vanno a trovare in quel 2 novembre, è bello che ci sia un giorno tutto per loro, e i bambini è giusto che siano educati al loro ricordo, ma per favore, lasciamo la tradizione in quell’angolo dove releghiamo tutto ciò che la vita moderna, una certa istruzione e la nuova cultura ci impone che restino, e quando pensiamo a “come eravamo” ci scappi un sorriso.
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Si scrive Halloween.Due E e una N.
Chi volesse fare una ricerca sulle origini di Halloween, festa celtica che allora si chiamava Samhain, troverà delle singolari coincidenze con la siciliana festa dei morti.