Eldorado siciliano per immigrati
Immigrati privilegiati nell’Eldorado siciliano.
di Francesco Paolo Catania ©
La Sicilia ha coltivato nei secoli una “vocazione multietnica”, ma questo continuo e incontrollato sbarco di extracomunitari ci preoccupa. Peraltro, l’attenzione più volte manifestata dai nostri governanti verso i disagi e le difficoltà cui andrebbero incontro i nuovi arrivati, se appare accettabile nelle regioni più ricche dell’Europa, diventa in Sicilia assolutamente stridente e in contrasto con il disagio dell’emarginazione sociale e della disoccupazione dei Siciliani. Disagio che, invece, non trova risposta alcuna. O, meglio, trova come risposta l’invito implicito a emigrare.
Ma come? Proprio noi Siciliani, che siamo il risultato di una mescolanza di popoli che si perde nella notte dei tempi, dobbiamo andarcene? È paradossale questa disparità che finisce per privilegiare l’ultimo arrivato rispetto a chi è qui da almeno tremila anni. Non si vuole mancare di umanità o negare la prima accoglienza a nessuno ma, se proprio abbiamo bisogno di braccia, è ai Siciliani della diaspora che dobbiamo prima rivolgerci. Quante volte ci sentiamo ripetere che la nostra gente è povera perché è inetta, incapace, non ha nessuna voglia di lavorare, non sa conquistarsi una posizione e soprattutto perché non vuole lasciare la sua terra, i suoi affetti più cari, i suoi sapori e odori.
Mentre al contrario quando un extracomunitario è povero, tutte le colpe ricadono sulla società che ha abusato di lui ed è quindi doveroso sopportarne il costo a spese della comunità, quello stesso costo che, usato diversamente, potrebbe far vivere un po’ più decentemente la nostra gente che, nel frattempo, urla di rabbia, soffre e muore. Ma questo “Eldorado siciliano”, o “Terra Promessa”, è favorito dalla stessa gente senza scrupoli alla quale la nostra classe politicante ha dato e continua a dare ospitalità. E a quegli utili idioti, che cercano di paragonare la nostra emigrazione con l’attuale invasione che ha fatto della Sicilia “il capolinea dei sogni”, vorremmo ricordare che la nostra gente ha contribuito allo sviluppo economico del paese in cui si è installata, al contrario dei nuovi arrivanti che molto spesso prendono senza aver ancora dato nulla al paese che li ospita. Anzi, fanno di tutto per imporre i loro usi e costumi.
Vorremmo ricordare anche che, partendo per l’esilio forzato imposto loro dopo l’unità d’Italia (briganti o emigranti), i nostri esiliati non portavano nei paesi, con i quali i nostri dirigenti li scambiavano con delle merci da importare, né armi, né droga e non invadevano interi quartieri con prostitute, spacciatori, accattoni, etc. Anzi, i nostri esiliati sostenevano regolari visite mediche per poter ottenere il visto e, se non erano ritenuti idonei, venivano rimpatriati con lo stesso mezzo con il quale erano arrivati.
Oggi, con l’invasione clandestina, oltre alle nuove epidemie, malattie credute da tempo scomparse (ad esempio, la tubercolosi) sono riapparse in tutta l’Europa mietendo vittime e sofferenze. Spesse volte sulla stampa leggiamo che nelle scuole siciliane si insegnerà l’arabo considerando questa l’ultima frontiera dell’informazione. È vero, bisogna dare ai Siciliani strumenti, anche linguistici, per spezzare l’isolamento culturale in cui sono tenuti dall’unità d’Italia e, in taluni settori, anche la lingua araba può servire allo scopo, per mettere la Sicilia al centro del Mediterraneo. Ma la priorità deve essere quella della Lingua Siciliana! Senza identità propria, da coltivare e da offrire a chi viene da fuori, non c’è futuro per noi, non saranno mai gli altri a integrarsi a noi ma noi a loro! Del resto, come affermare il contrario?
Leggevo tempo fa che nell’Eldorado Siciliano, vera Terra Promessa, era stata recentemente sottoscritta un’intesa tra imprenditori e sindacati per permettere ai lavoratori islamici di osservare il riposo del venerdì e l’orario flessibile in occasione del mese sacro di Ramadam. Se i nostri “esiliati” avessero chiesto alle autorità che li ospitavano simili vantaggi, vi lascio immaginare quale sarebbe stata la loro reazione: un licenziamento con rimpatrio immediato senza alcun foglio di via, come fanno oggi le nostre autorità che poi aiutano gli espulsi a ritornare nel circuito clandestino In ogni caso si chieda prima ai governi dello Yemen e dell’Arabia Saudita di fare altrettanto nei loro paesi, a quella stessa Arabia Saudita che ha investito miliardi per costruire una moschea gigantesca nel cuore della cristianità.
Chiediamo agli amici turchi, che si sentono tanto europei, di abolire le restrizioni per legge alla propaganda religiosa e alla personalità giuridica delle organizzazioni confessionali che, sotto una patina di laicità, si traducono in uno strangolamento della più antica comunità cristiano ortodossa del mondo ovvero nell’indicazione, illiberale, della religione professata sul documento di identità. Altrimenti, la nostra civilissima tolleranza si trasformerà in semplice acquiescenza a un nemmeno tanto larvato progetto di islamizzazione del continente europeo. Ma questi signori che danno lezioni di morale e di democrazia agli altri, si sono almeno chiesti perché tanti extracomunitari di religione musulmana chiedano sempre di venire a casa nostra anziché migrare verso altri paesi islamici? E noi, intanto, stiamo a… guardare.
Pubblicato su L’Ora Siciliana n. 2 (Maggio 2015) Scarica il pdf
L’Ora Siciliana di Ottobre 2015 è pronto
Bisogna aprire bene gli occhi ed ascoltare il passato che molto ha da insegnarci. Stiamo per essere soggiocati dalla nostra stessa politica che anzicchè aiutare il territorio ci punisce con violenza lasciando che la Sicilia diventi la vera “frontiera” ma anche il sistema tampone per fermare l’onda mussulmana-cattiva, benvengano coloro che creano lavoro o che semplicemente vogliono lavorare. Oggi diventa difficile davanti alla necessità di sopravvivenza del popolo siciliano chredere che si possa creare un futuro migliore proprio adesso che le cose stanno peggiorando e che per necessità coloro che potrebbero aiutare a ricomporre le sorti della nostra Sicilia sono costretti ad emigrare ed a “spendere” la loro preparazione in paesi o città italiane che nulla hanno speso per ciò. I politici non vogliono capire, ma vogliono solo vogliono. Siciliani, non coglioni, ma cichi increduli e spesso incapaci di unirsi su temi importanti come la creazione di forze politiche con un fronte unico.