Colera 1837 in Sicilia e coronavirus 2020
Il cholera-morbus colpì l’Europa
e il 7 giugno 1837 arrivò a Palermo
Allora con il colera, oggi con il coronavirus, imprudenza ed errori nei cordoni sanitari sono sempre stati la causa di un’altissima percentuale di morti fra la popolazione.
di Angelo Severino ©
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Nella storia dei popoli e delle nazioni, l’umanità a vari intervalli è sempre stata colpita, oltre che dalle guerre, da terribili e mortali flagelli. Non solo da diluvi, terremoti, carestie o incendi ma anche da epidemie tipo peste, lebbra, vaiolo o colera per arrivare all’attuale COVID-19.
La più antica e meglio conosciuta epidemia è stata la peste che la si credeva fosse stata di origine divina per punizione degli uomini. Achille, come racconta l’Iliade di Omero, nel decimo giorno di una pestilenza, interpellò un sacerdote per sapere il motivo dell’ira di Apollo. David, costretto da Dio a scegliere quale fra tre punizioni preferisse per Israele, rispose di volere tre giorni di peste durante i quali morirono settantamila persone. E, come altro esempio, è da ricordare la pestilenza avvenuta a Roma nel 488 a.C. che si credette essere stata data perché le sacre danze non furono fatte nel modo esatto.
Tucidide, che visse nel tempo dell’epidemia diffusasi in Grecia, scrisse che nel 431 a.C. ad Atene la pestilenza attaccava d’improvviso individui fino a quel momento godenti di perfettissima salute e ne descriveva con particolarità i sintomi del morbo. Il focolaio della peste si credeva fosse stato l’Africa e la malattia fece parecchie vittime raggiungendo, in alcuni casi, la proporzione di quattro persone morte su cinque degli abitanti contagiati.
Come nell’Ottocento il morbo del colera entrò in Italia
Nella prima metà del XIX secolo, in varie parti d’Europa era scoppiato il cosiddetto “cholera-morbus” asiatico che causò parecchie vittime ovunque. La prima città italiana a essere presa dal morbo fu Nizza, allora provincia del Piemonte. Fu accertato che il colera si sarebbe propagato attraverso un carcerato che avrebbe eluso la sorveglianza e sarebbe andato a lavorare per un giorno in una nave ancorata nel porto di Nizza dove si trovavano persone in quarantena. Da Nizza l’epidemia del colera si diffuse in breve tempo nelle altre zone del nord-centro Italia causando, in alcune città, la morte persino del 4% degli abitanti.
In Lombardia, ad esempio, la cui popolazione in quei tempi era di quasi due milioni e mezzo, morirono 31.814 persone cioè un abitante per ogni 56.
Il colera invade il Regno delle Due Sicilie nel 1836
L’espandersi del morbo, costrinse Carlo Avarna di Gualtieri, presidente del Consiglio dei Ministri del Regno delle Due Sicilie, a prendere dei provvedimenti per difendere la Sicilia dal cholera-morbus. Preparò un regolamento che fu firmato il 1° luglio 1832 dal re Ferdinando II, poi chiamato anche con il soprannome di “Re bomba” per avere ordinato nel settembre 1848 il bombardamento di Messina.
Essendo la Sicilia un’isola, essa per natura non poteva essere contagiata via terra e fu quindi inutile predisporre misure di sorveglianze in tal senso. Necessario fu invece tenere sotto controllo tutte le coste della Sicilia attraverso 29 imbarcazioni di piccola stazza (meglio conosciute come i legni sottili della Real Marina) che, non potendo tuttavia ispezionare tutte le spiagge siciliane, il loro servizio era solo doganale e a coadiuvare il cordone marittimo sanitario predisposto affinché nessuna imbarcazione potesse attraccare ma respingerla con la forza.
Oltre al cordone marittimo, fu ordinato che ogni paese provvedesse a un servizio sanitario interno per una disinfestazione accurata delle strade, dei macelli, dei cimiteri e di tutti quei posti dove sarebbe stato possibile annidarsi il morbo del colera. Fra le direttive da adottare ci fu anche quella che prevedeva una specie di censimento delle persone povere mendicanti senza fissa dimora per conoscere dove avessero dormito la notte e se fossero portatori di malattie infettive.
Vennero inoltre potenziati i controlli su botteghe di generi alimentari e su venditori ambulanti per verificare che non vendessero cibi andati a male. Per coordinare il cordone sanitario nelle grandi città, e specialmente a Palermo, fu necessario istituire apposite Commissioni (formate da esperti per materia) che dovettero altresì preoccuparsi affinché i poveri avessero i mezzi da vivere e non producessero infezioni e che venissero osservati i regolamenti per i fanciulli e per le fanciulle abbandonati e che fossero tolti dai pericoli e protetti.
Le Commissioni, oltre a quanto detto, avevano facoltà di controllare le farmacie, con visite all’improvviso, per vedere se fossero state ben fornite di tutti quei medicinali ritenuti essenziali. Tutti i cittadini, bottegai compresi, dovevano provvedere a ripulire da sé i propri spazi abitativi e mettere tutta insieme la spazzatura in mezzo alla strada per essere portata via dagli addetti al ritiro.
Il colera nel 1836 arriva a Napoli e nel 1837 a Palermo
Pur con tutte queste precauzioni prese in Sicilia, ossia al di là del Faro, predisponendo soprattutto cordoni marittimi e chiusure sanitarie, il morbo del colera nell’ottobre del 1836 arrivò al di qua del Faro e raggiunse Napoli. Per frenare l’epidemia furono usati provvedimenti rigorosi come quelli adottati in Sicilia, come il respingimento di tutte le imbarcazioni da ovunque essere venissero. Questa precauzione fece cessare momentaneamente il propagarsi del colera in quella parte del Regno.
Il morbo si risvegliò a Napoli il 13 aprile 1837 e infettò una donna di nome Angiolella Rocco, madre di undici giovani figli, che dopo quattro giorni morì. Seguirono giorni in cui i cadaveri divennero parecchi e, per la fretta, furono seppelliti in modo non tanto perfetto. Un ammasso di insetti rossi colerosi, simile a una nuvola rossastra, formatisi dalla putrefazione dei cadaveri mal tumulati, sorvolava le campagne di Napoli avvelenando frutta e verdure. Il 20 aprile un forte vento di levante spinse la nube colerica sopra Aversa provocando tantissime altre vittime. Nel mese di maggio il colera riprese con più forza a contagiare al di qua del Faro uccidendo famiglie intere.
Il 7 giugno 1837 il morbo arrivò a Palermo nel quartiere della Kalsa e provocò il decesso di due marinai, tali Angelo Mancino e Salvatore Tagliavia, morti a causa del colera come risultò dall’autopsia effettuata sui loro corpi. Cinque giorni dopo, partita da Napoli, approdò nel porto di Palermo il brigantino “Archimede” del capitano Buccellato con a bordo due colerici. Le due guardie sanitarie, che erano state sul bastimento e avevano eseguito senza alcuna precauzione il controllo, si ammalarono di colera e morirono anche loro. Morirono anche un marinaio, il medico e il prete che li avevano assistiti.
La paura prese il sopravvento e indebolì il sistema immunitario dei palermitani
I palermitani presero con leggerezza il manifestarsi dei primi sintomi del colera e non si attennero a quanto le autorità sanitarie ordinavano. Così in poco tempo il morbo si propagò con micidiale potenza in tutta la città e nella prima decade di luglio i morti ammontavano a 1700-1800 al giorno. Quanti in quei giorni si trovavano a Palermo, per motivi di studio o di lavoro, scapparono e ritornarono velocemente nei propri paesi trasportando con sé il seme contagioso del morbo. In questo modo, il colera toccò quasi tutte le città della Sicilia provocando non soltanto morti ma anche sommosse popolari e caccia a probabili untori.
Molto saggiamente, la Commissione palermitana (istituita con il regio decreto del 1° luglio 1832) e il direttore generale di Polizia vietarono ogni pubblica manifestazione e soprattutto la festa in onore di Santa Rosalia, patrona di Palermo, che doveva svolgersi dal 10 al 15 luglio 1837. La malattia fortunatamente, dopo aver causato lutti e tristezze, nei primi giorni di agosto si affievolì fino a cessare del tutto.
Rileggendo le statistiche sulle vittime al tempo del colera dell’Ottocento, notiamo che nelle varie città d’Europa la percentuale fu del 2%, o al massimo 3%, mentre nella sola Palermo fu del 15%. Si scrisse che la causa del perché ci fossero stati così tanti decessi fosse stata la scarsezza di medici sia perché, man mano, morivano anche loro sia perché molti, impauriti, abbandonavano vigliaccamente la città lasciando gli ammalati privi di qualsiasi assistenza.
Un altro motivo per cui a Palermo si registrò una così alta mortalità rispetto ad altri paesi europei fu la mancanza delle medicine necessarie per curare il colera o per il ritardo con cui i farmaci arrivavano nell’Isola.
Dalle cronache del tempo, leggiamo che a causare una così alta percentuale di morti contribuì anche la paura che prese il sopravvento e indebolì il sistema immunitario dei palermitani. Il terrore si era diffuso nel loro animo, si impaurivano a ogni minimo rumore e tutto il giorno credevano di essere presi dal male. Qualcuno descrisse così quei momenti: «Nessuna delle persone così paurose, che io sappia, scampò dall’assalto del colera».
La paura che prende il sopravvento indebolisce il sistema immunitario.
Guarda video del psichiatra Raffaele Morelli
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